Genova - L'aspetto singolare di questa storia è che ieri, mentre i suoi difensori cercano a unghie e denti di evitare a Flavio Briatore una condanna a quattro anni di galera, il suo yacht è esattamente dov'era prima: cioè da qualche parte nel Mediterraneo, impegnato a scorrazzare russi e americani disposti a pagare trecentomila dollari per una settimana di vacanza. Stesse rotte, stesso equipaggio, stesso broker. L'unica differenza è che a gestire il business oggi non è più Briatore ma sono i giudici che l'hanno sequestrato, accusando l'ex patron della Renault di contrabbando, fatture inesistenti ed evasione delle tasse. Per i giudici, il noleggio del Force Blue era poco più che un'attività di copertura per gli svaghi personali del suo padrone. Ma l'attività di copertura, se di questo si tratta, ora va avanti sotto l'egida della giustizia.
Lo sequestrarono nel 2010, facendo irruzione a bordo mentre c'erano sua moglie Elisabetta e suo figlio Nathan Falco. Sono passati cinque anni. E ieri, davanti al giudice Marco Panicucci, va in onda una udienza chiave del processo a Briatore. Parlano i suoi difensori, Massimo Pellicciotta e Fabio Lattanzi, ultima chance di scampare alla condanna. E mentre fuori su Genova si scatena il diluvio, l'udienza si trasforma in una singolare radiografia del personaggio Briatore. Radiografia più umana che giudiziaria. Lui, l'imputato, assiste dietro gli immancabili occhiali azzurri, il pancione pigiato nella t-shirt nera: ma più dell'epa a premere per scoppiare sembra la sua rabbia. Briatore sbuffa, fa smorfie, pigia sul telefono, sussurra agli avvocati. Briatore è arrabbiato perché a venire processato non è solo il presunto pasticcio dello yacht ma lui, il suo ruolo al mondo, il suo modo di fare impresa e di fare i soldi. «Briatore è terrorizzato - dice Pellicciotta - perché se gli date quattro anni per il Force Blue poi lo vorrete processare anche per il Billionaire, i resort, i negozi, i casinò, i ristoranti. Se è una copertura la società dello yacht allora direte anche che ha creato il Billionaire per andare in discoteca gratis la sera, trenta negozi per non pagarsi le babbucce, il casino in Kenia per giocare alla roulette senza pagare il biglietto di ingresso. Direte che ha costruito un impero per soddisfare i suoi capricci. Magari gli darete trent'anni di galera».
La verità, dicono i suoi legali, è che sul Force Blue , sessanta metri di nave con spa e cinema, «Briatore ci ha messo la faccia, anzi il faccione», come l'ha messo su tutte le sue attività. È la sua faccia, il suo marchio, a convincere i ricchi. «Perché lui è il più grande conoscitore vivente dei desideri dei ricchi. Lui è lo Zelig dei ricchi». «Solo lui - dice Pellicciotta - sa cosa vuole chi spende un milione mezzo per comprare una casa a Malindi, o 250 mila euro per una settimana in barca, o duecento euro per un piatto di spaghetti e una mozzarella».
Dimostrare che il Force Blue faceva davvero attività charter, per la difesa serve a smontare l'accusa di contrabbando, e a cascata tutte le altre: perché la Procura invece dice che era la sua barca personale, e che è stata intestata ad un trust solo per non pagare le tasse. Peccato che quel misterioso trust sia il trust FB, iniziali del suo padrone, creato alla luce del sole «per tutelare gli eredi di Briatore», quello che ha comprato la Ligier e la Pierrel, i Queens Park Ranger e le scarpe Kickers, e che oggi che incorpora tutte le società, «che pagano le tasse nei paesi in cui fanno le loro attività». Anche la Autumn Sailing era una di queste: ed era così poco una scatola vuota che aveva trenta dipendenti, ha incassato nove milioni in noleggi, e altri ne avrebbe incassati alla luce del sole. Certo, batteva bandiera straniera. «Ma neanche Stalin voleva nazionalizzare tutte le barche che passano per i suoi mari». A luglio la sentenza.
Gli avvocati del manager: "Il Force Blu comprato per fare charter. Se lo condannate poi lo vorrete perseguire pure per il Billionaire"
