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Channel: Il Giornale - Luca Fazzo
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Sarà giudice in Piemonte dopo i dissidi con Bruti Liberati, capo dei pm di Milano

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MilanoDa oggi, Alfredo Robledo non potrà più mettere piede nella Procura di Milano. Non è più procuratore aggiunto, non è più nemmeno pubblico ministero. Via da Milano, a fare il giudice a Torino. Mai, in questi mesi in cui la Procura di Milano ha messo in piazza con la crudezza di una autopsia i veleni che le attraversavano, si era immaginato che lo scontro furibondo in atto tra Robledo (ma non solo lui: ha avuto numerosi sostenitori, anche se silenti e pronti a defilarsi) e il suo capo, il procuratore Edmondo Bruti Liberati, finisse con una simile vittoria di Bruti e del suo mondo di riferimento. Le accuse di Robledo sulla gestione politica delle inchieste - giuste o sbagliate che fossero - vengono spazzate via dalla decisione del Csm, presa ieri dalla sezione disciplinare e scritta materialmente da Antonio Leone, consigliere in quota al Nuovo centrodestra. E il fatto che la parola fine sul «caso Robledo» venga scritta da un esponente dell'area moderata la dice lunga sull'isolamento trasversale in cui alla fine Robledo si è venuto a trovare.

Formalmente, a costare il trasferimento immediato di Robledo e l'ancor più infamante passaggio a giudice (che lo marchia come inadatto non solo a stare a Milano, ma anche a fare il pm) è una vicenda che non c'entra niente con i veleni tra lui e Bruti: Robledo paga le sue intercettazioni telefoniche con un avvocato della Lega Nord, cui preannunciava sviluppi delle indagini e suggeriva mosse difensive. La confidenza con cui avvocato e pm si parlano è parsa intollerabile al Csm, e in particolare quella in cui Robledo dà a due colleghi la colpa di avere detto di no a un'istanza del legale. E sono in effetti dialoghi così sconcertanti da domandarsi con che coraggio Robledo sia partito all'attacco sapendo di avere nell'armadio una pecca che gli si sarebbe inevitabilmente ritorta contro.

L'unica certezza è che insieme a Robledo vengono defenestrate anche le accuse che aveva lanciato in questi mesi contro la gestione Bruti, e che non erano tutte infondate. Depurate dalle antipatie e gelosie individuali, una parte di esse sollevava un tema cruciale, quello del potere quasi assoluto che i Procuratori della Repubblica hanno o si prendono sulla gestione delle inchieste. Non era mai successo che questo tema venisse sollevato così aspramente e, visto l'esito, difficilmente accadrà di nuovo.


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